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Madagascar

Mora mora, lo stile di vita del Madagascar

L’elogio della lentezza mi è sempre sembrato un artificio retorico, una frase da motivatori della domenica: goditi il momento, rallenta, rilassati. Ma come si fa a ridurre la velocità? Io ho fretta di vivere, di sperimentare, di dimostrare qualcosa agli altri e a me stessa. Sono qui e altrove, off e online, sempre di corsa, senza mai fermarmi.

Non faccio pause nemmeno in vacanza, controllo le email di lavoro sullo smartphone, mi alleno, pianifico ogni momento con qualcosa da fare e da vedere, musei, club, negozi. Sono un motore ad adrenalina, forse per questo sono sempre insoddisfatta. Niente mi sembra abbastanza e ho il bisogno di muovermi, di cercare altro, di più e ancora e ancora.

«Mora mora, dicono in lingua malgascia, e significa piano piano, che non è solo un consiglio, ma un modo di pensare, uno stile di vita».

Per i miei quarant’anni mi lascio convincere dalla mia migliore amica a partire per il Madagascar. Lei ci è già stata, si è riempita gli occhi di terra rossa, di baobab, di riserve naturali, di specie animali che si trovano solo qui, di chilometri e chilometri di strade sterrate, villaggi di pescatori, tartarughe e squali e barriere coralline. Mi dice ridendo che ne avrei proprio bisogno, ma io non capisco. Capirò poi.

Sbarchiamo a Nosy Be, che è un’isola nell’Oceano Indiano a poche miglia marittime a nord ovest dall’isola madre del Madagascar, ed è come essere in un poster pubblicitario: natura verdeggiante, spiagge dalla sabbia bianca, mare cristallino, l’odore di ylang ylang che avvolge l’aria.

È tutto così bello, così perfetto, che ne sono travolta. Vorrei esplorare ogni centimetro di quella terra, scoprirne gli angoli incontaminati, fotografare ogni meraviglia, conoscere tutto, ma al tempo stesso, per la prima volta da tempo, vorrei fermarmi a contemplare, ad ascoltare i rumori che mi circondano, ad assaporarne lo splendore, a godere di quella pace.

Passeggiamo molto, facciamo il bagno, ci stendiamo al sole, assaggiamo frutti che non avevamo mai visto e il maskita con lo zebù, l’anguilla, le aragoste, le crepes alla vaniglia e la coba ravina, una torta di farina di riso, arachidi e zucchero grezzo. Parliamo e ascoltiamo tanto, le nostre storie e quelle dei compagni di viaggio e delle persone del posto, come non succedeva da anni, senza grandi distrazioni che non siano osservare la luce incredibile al tramonto che ti sorprende presto all’equatore.

È un viaggio di quelli che non si fanno spesso, nello spazio esteriore, ma anche in quello interiore. Mi accorgo che senza la continua distrazione delle cose da fare con cui riempio la mia routine riesco a ritrovare me stessa, non quella che racconto agli altri, quella che indossa una maschera, ma la me autentica, piena di sogni, di desideri, di fantasia.

Non mancano gli impegni durante le nostre giornate, facciamo snorkeling e numerose immersioni, andiamo in escursione nelle isole vicine Nosy Iranja, Nosy Mitsio e Nosy Komba, ci spingiamo fino alla Riserva Naturale Integrale di Lokobe, uno dei parchi terrestri più famosi del Madagascar. Nelle nostre escursioni incontriamo finalmente il simpatico lemure macaco, camaleonti, gechi, i delfini, gli squali e un giorno vediamo anche saltare fuori dall’acqua una maestosa balena megattera.

Arrivato il momento di salutare chi ci ha accolto, guidato e aiutato, ci viene naturale dare loro un appuntamento a presto. È normale voler tornare in paradiso.

Sull’aereo mi accorgo che il computer che avevo portato per lavorare è rimasto tutto il tempo chiuso nello zaino. Chissà quante e-mail avrò accumulato, quante cose in sospeso da fare. Ma non ho voglia di scoprirlo, non ora.

Ci penserò domani.

Mora mora.

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